Perché l’economia circolare diventi un modello/approccio standard, accettato e applicato dal maggior numero di PMI italiane, è necessaria una transizione dall’attuale utilizzo di nicchia alla diffusione su ampia scala.
Oggi come oggi, la penetrazione media dell’Economia Circolare nelle imprese si aggira tra il 5 e il 10%. I materiali riciclati coprono meno del 9%. Quelli rigenerati non raggiungono il 2%.
Quali sono le ragioni per le quali questo passaggio fatica ancora ad affermarsi, nonostante possa diventare un vero e proprio motore di crescita o di rilancio per moltissime aziende?
Secondo quanto scrivono Andrea Urbinati (del Green Transition hub, LIUC Università Cattaneo) e Pierluigi Zerbino (del DESTEC, Università di Pisa) i motivi non sarebbero da ricercarsi solo negli sforzi economici da sostenere per attuare la transizione, ma anche nelle dirette conseguenze dell’Effetto Rebound.
Non ancora del tutto conosciuto e studiato, secondo tale fenomeno l’economia circolare intesa come maggior recupero e riutilizzo intensivo di prodotti e materiali, potrebbe non bastare a ridurre la necessità di produrre nuovi beni o prevedere addirittura l’estrazione di ulteriori risorse naturali, creando possibili contraccolpi proprio sull’equazione sostenibilità=circolarità.
Questo significa che ogni azienda dovrà valutare in base a una serie di parametri (costi, benefici ed effetto Rebound), come e quando affrontare un percorso di riprogettazione che adotti il modello circolare, rendendone possibile la sostenibilità nel lungo periodo.
Considerare il modello di business circolare come un obiettivo imprescindibile e in qualche modo obbligato, anziché uno strumento per creare valore economico, sociale e ambientale presso coloro che lo adottano, è un errore che espone le imprese a gravi rischi. Tra cui la tentazione di cedere al Greenwashing: ambientalismo di facciata che sconfina in una comunicazione ingannevole e passibile di sanzioni.
In altre parole, l’Economia Circolare, attraverso tutti i passaggi e le “filiere” collaborative di stakeholder coinvolti, deve corrispondere a un modo virtuoso di fare impresa.
Altrimenti non ha futuro.
Fonte: Il Sole 24 Ore